giovedì 11 settembre 2008

Aero Club d’Italia Notiziario 1 n° 1 Aprile 1988 “STORIA DELL’AERONAUTICA”

Aero Club d’Italia Notiziario 1 n° 1 Aprile 1988

“STORIA DELL’AERONAUTICA”
Perché fallì l'aereo individuale
Una serie di curiose illustrazioni disegnate da Jean Marc Coté nel 1899 e pubblicate ora col commento di Isaac Asimov “Nostalgia del Futuro”, ed. Rizzoli, 1988) mostra la gente che va all'Opera col tassi aereo, un metropolitano che regola il traffico degli aeroplani sul cielo di una città (fermandoli in aria!) mentre non vi sono auto né vetture a cavalli che corrano per le strade.
A parte la stramberia di queste illustrazioni, il concetto della conquista dell'aria come diffusione di un mezzo di trasporto volante a due, tre, quattro posti, com'era la carrozza a cavalli e com'è divenuto poi l'automobile, era molto diffuso in quell'epoca: il pioniere brasiliano Alberto Santos Dumont, dopo aver usato un piccolo dirigibile per andare a trovare i suoi amici nelle loro ville nei dintorni di Parigi progettò P costruì un piccolo aeroplano, che chiamò Demoiselle, del quale si serviva per i suoi spostamenti suburbani. Osserviamo di passaggio che allora non c'erano le linee ad alta tensione che rendono tanto pericoloso il volo a bassa quota ai nostri giorni.
Il sogno dell'aeroplano di proprietà per uso individuale ebbe vita lunga; ai tempi di Balbo si studiò un progetto per dare a tutti gli ufficiali piloti della Regia Aeronautica un aeroplano di proprietà a condizioni vantaggiose, così come gli Ufficiali delle Armi montate avevano diritto a una o più "razioni foraggio" per i loro cavalli. Facilitazione che poggiava sul presupposto, per altro giustissimo, che tutto il tempo passato in sella, anche per attività sportive, fosse utile all'addestramento dell'ufficiale. E il ragionamento poteva allora essere esteso all'aeroplano; oggi, pur restando valido il principio che ogni ora di pilotaggio, su qualunque tipo di velivolo, è sempre valida esperienza per il pilota, la specializzazione richiesta per operare con i moderni aerei da combattimento è tale che nulla può sostituire lo specifico addestramento.
Ma torniamo ai sogni dei nostri nonni: tutte le imprese epiche che facevano parlare dell'aeroplano furono compiute da una, massimo due persone su piccoli velivoli, dalla traversata della Manica di Blériot nel 1909 al volo New York‑Parigi di Lindbergh nel 1927. Le trasvolate compiute da Balbo con grosse formazioni di idrovolanti nel periodo successivo colpirono la fantasia delle folle soprattutto per il numero dei velivoli impiegato, non per la grandezza di ogni singolo idrovolante. Nasceva in quel periodo anche l'aviazione commerciale, ma in Europa era una ristrettissima minoranza di persone che si serviva del mezzo aereo preferendolo al treno.
In America il trasporto aereo collettivo ebbe maggior successo, ma in quel vasto continente nacque anche il primo aereo veramente per tutti, nel 1931; si chiamava Taylor Cub, dal nome della fabbrica Taylor Aireraft Company Gilbert Tavlor ne era il presidente e William T. Piper il segretario e tesoriere; nel 1936 Piper rilevò la fabbrica.
Il Piper J3 Cub, che apparve nel 1938, fu il primo aereo non militare prodotto in grandi quantità; Piper voleva diventare "il Ford dell'aeroplano".
Nel 1950, quando cessò la produzione del Cub, ne erano stati prodotti 23.512 esemplari; non è una cifra paragonabile alle produzioni automobilistiche, ma è sempre un bel numero.
Il Piper Cub è un piccolo capolavoro (tanti ne volano ancora); semplice, leggero, docile, stabile e "onesto".
Chi si sedeva ai comandi per la prima volta si stupiva di scoprire che volare è così facile, più semplice che guidare un'auto. Non c'è frizione, né cambio, le strade del cielo non hanno paracarri né fossi. In poche lezioni si imparava a decollare, salire, virare, scendere e persino atterrare; si imparava anche ad evitare lo stallo, un pericolo che sui mezzi terrestri non c'è.
In America il piccolo aereo privato conobbe una grande diffusione, e lo stesso accadde in Australia, Nuova Zelanda e in certe zone dell'Africa: terre dai grandi spa­zi, scarsamente abitate, poco servite dal treno.
Diverso è il caso dell'Europa; gli spazi sono ristretti, fittamente abitati, tagliati da li­nee di confine. In particolare in Italia la complessa situazione orografica, le coste frastagliate, le coltivazioni intensive e le condizioni meteo variabilissime rendono il volo a vista difficile e pericoloso in molti giorni dell'anno.
Già, ma oggi con le possibilità del volo strumentale... qui però cambiamo netta­mente discorso per il pilota e per l'aeropla­no: il pilota deve avere l'abilitazione al volo strumentale, e siccome siamo il Paese delle lauree facili dove sono "tutti dottori", di­ciamo pure che deve saperlo fare realmen­te, deve essere addestrato, abituato a vola­re facendo riferimento solo agli strumenti. Non è necessario essere geni per volare in IFR; ma per farlo con sicurezza bisogna farlo spesso, altrimenti si possono com­mettere errori o sviste che si pagano caris­sime; quando c'è da forare uno strato di nuvole bisogna sapere molto bene dove ci si trova, non si ha idea di quante montagne si possono trovare dentro le nuvole. L'ae­roplano deve essere ben strumentato, mu­nito di transponder e di efficiente impianto antighiaccio, e plurimotore; un'emergenza di motore che capiti al di sopra o dentro le nuvole e obblighi a scendere subito ha scarsissime probabilità di concludersi be­ne.
L'aeroplano privato ha trovato la sua stra­da e una buona diffusione nella forma del bimotore, generalmente a turbina, stru­mentato come un aereo di linea e di norma affidato a piloti professionisti. Il piccolo aeroplano da usare come l'auto invece non ha preso piede: i pionieri dell'inizio del se­colo che ne prevedevano lo sviluppo e non sognavano neppure i trasporti aerei di massa a Mach 0, 9 di oggi e a Mach 2 ‑3 di domani non potevano immaginare i pro­gressi dell'elettronica della motoristica, dell'aerodinamica e delle strutture che stanno alla base dell'aereo di linea moder­no. E forse pensavano che per volare col cattivo tempo e la scarsa visibilità basti quel coraggio che loro avevano in abbon­danza.
L'aviazione commerciale è stata allevata dai governi con sussidi e agevolazioni fino a che non ha potuto camminare con le sue gambe. L'aviazione privata non ha avuto questi benefici; gli aeroplani appartenenti a ditte come Fiat, ENI etc. gravano sui bilanci delle ditte stesse e i loro costi d'ac­quisto e d'esercizio fanno parte delle spese deducibili dal reddito. L'aeroplano vera­mente privato invece è gravato di tasse e balzelli vari, porta subito il proprietario sotto la lente del fisco e risulta più tassato di un panfilo di valore quadruplo.
Ma forse le ragioni elencate non sono tutte qui; ci aiutino i lettori dandoci i loro pareri: saremo lieti di discuterne.

Alberto Mondini

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